Il Cesena, la Ferrari e il Pericolo Indifferenza
Chi domenica scorsa era a Monza a vedere il Gran Premio d’Italia di F1 (o, più semplicemente: chi domenica scorsa era sintonizzato su Sky o su Tv8) sa di cosa parlo: tribune piene, bandiere (rosse) al vento, entusiasmo alle stelle, più di 170mila presenze. E questo – caro biglietti a parte – nonostante il popolo ferrarista sia arrivata all’appuntamento brianzolo con il morale letteralmente sotto i tacchi. D’altronde, anche chi mastica poco di motori, sa benissimo che il Cavallino Rampante quest’anno sta collezionando solo figuracce. Che il Cavallino Rampante non si aggiudica un Gp da più di un anno. Che il Cavallino Rampante non vince un mondiale dall’anno del Signore duemilasette: Kimi Raikkonen al volante, Luca Cordero di Montezemolo al timone di comando, una vita fa. Anzi, pure qualcosina in più di una vita fa.
È davvero difficile – diciamo pure impossibile – da spiegare a parole il legame che c’è tra il popolo italiano e la Ferrari. Un legame che, nonostante tutte queste sconfitte che si ripetono gran premio dopo gran premio in pista e ai box, nonostante questo incontrastato dominio delle Lattine Volanti, nonostante questi continui autogol dietro la scrivania commessi dal Vertice Rosso, continua ad essere più vivo che mai. Domanda facile facile: ma tutto questo amore della gente nei confronti della Rossa cosa ci dice? Risposta: ci dice soprattutto che il fuoco della passione ferrarista continua ad ardere sotto la cenere. Diciamo, facendo le dovute proporzioni, che la stessa cosa sta avvenendo a Cesena sul fronte Cavalluccio. Che il caro ‘vecchio’ Cavalluccio non vede la Serie A dall’anno del Signore duemilaquindici. Che l’ultima promozione bianconera (peraltro dalla Serie D), in riva al Savio, è stata festeggiata quattro anni fa a Giulianova. Che gli ultimi tre play-off di Serie C, il Cesena, li ha giocati – perdonatemi il francesismo – con il culo.
Eppure, nonostante tutta questa mediocrità a vagonate, il cuore bianconero continua a battere più che mai. Eppure, anche quest’estate, più di 5500 persone si sono – nonostante gli aumenti dei prezzi, nonostante la delusione post-Lecco, nonostante i vergognosi silenzi sfoderati dagli Americani, nonostante un calciomercato non propriamente scoppiettante – (ri)abbonate. Eppure, l’altra sera ad Olbia, in barba alla (lunga) distanza e alla (vergognosa) collocazione oraria, a vedere ‘esibirsi’ Corazza & Friends c’erano più di 100 persone. 108, per la precisione. Un numero di tutto rispetto. Un numero che, per la piccola Cesena, vale come le 170mila anime accorse sempre domenica a Monza.
Che bella (doppia) storia, questa del Cavallino Rampante del Cavalluccio. Bella davvero. Una storia fatta di passione sanguigna, di senso di appartenenza. Anche se, sul fronte Cesena (più che sul fronte Ferrari), la mia più grande paura è una sola: che tale passione, prima a poi, venga inghiottita dal terrificante mostro dell’indifferenza. Perché – diciamocela tutta – a tutto c’è un limite. E la Romagna Bianconera – la Romagna che ha visto la Serie A e la Coppa Uefa, la Romagna che ha battuto il Milan e la Juve, la Romagna che ha visto al timone di comando i romantici Dino ed Edmeo, la Romagna che ha visto Bagnoli e Bigon, la Romagna che ha ammirato Cera e Jimenez – non ne può davvero più di farsi umiliare in questa fogna ‘chiamata’ Terza Serie (anche) dal Matelica, dal Monopoli, dal Lecco, dall’Olbia. Non ne può davvero più di farsi prendere in giro da forestieri (assetati di plusvalenze) che stanno alla Romagna Capitale allo stesso modo in cui Fedez sta alla musica d’autore. Non ne può davvero più di vedere all’opera comprimari della pedata o vecchie (e bolse) glorie bianconere che – pur non avendo la patente da dirigente – provano a riciclarsi dietro la scrivania. Non ne può davvero più di convivere con azzerbinatissimi allenatori che non dicono mai di no al loro Padrone.
Cari John Aiello & Friends, ma anche cari John Elkann & Company, ora fatevi dare un consiglio disinteressato: occhio a scherzare troppo col fuoco. Occhio. La rabbia e la delusione dei vostri splendidi tifosi, prima o poi, potrebbero lasciare spazio all’indifferenza. Che l’indifferenza – fidatevi di me – è pure peggio della rabbia e della delusione. Molto peggio. Che nella vita, almeno secondo il mio modesto parere, non c’è nulla peggio dell’indifferenza. Nulla, davvero. NULLA. Che a casa mia, ma non soltanto a casa mia, l’indifferenza è un vaffanculo silenzioso. Un vaffanculo silenzioso che fa tanto rumore. Tantissimo rumore. Un rumore che ti uccide. Dentro. E fuori.