Quando tra il Pianeta Rosso e il Nürburgring spuntò il Cesena
Sono nato il 15 marzo. Il giorno in cui già festeggiava il proprio compleanno Sabrina Salerno. Un segno del destino, per un amante – dalla metà degli ottanta sino ancora ai giorni nostri – della Sabrina Nazionale. Delle hit estive Sexy Girl, Boys e My Chico. Delle supermaggiorate in generale.
Sono nato nel 1976. L’anno dell’attesissimo sbarco sul Pianeta Rosso delle sonde Viking 1 e Viking 2. Ma soprattutto l’anno del clamoroso approdo in Europa del Cesena. Un altro segno del destino, per un estimatore - negli anni successivi – del Cavalluccio.
L’ultimo Scudetto del Toro. L’ultimo successo al Giro di Gimondi. La vittoria di Panatta & Friends in Coppa Davis. Lo spaventoso rogo del Nürburgring ‘targato’ Niki Lauda. Epperò, lo ripeto, il 1976 resta soprattutto l’anno di quel miracolo di provincia messo in piedi dalla Romagna (anche) ballerina che si sveglia con il sorriso alla mattina.
Ma vi rendete conto? Il piccolo Cesena che arriva sesto in Serie A e si guadagna un pass per l’Europa! Quell’Europa che, i tifosi bianconeri dell’epoca, prima di allora avevano visto soltanto in tv o in cartolina. Quell’Europa che, i tifosi bianconeri di oggi, ben difficilmente riusciranno a rivedere in futuro. E non soltanto perché adesso, a Cesena, invece che battere la Juve di Zoff, ci si fa asfaltare a domicilio dal – sigh – Monopoli di Mercadante. E mi fermo qui. Che è meglio. Molto meglio.
Nostalgia. Nostalgia canaglia. Di una casa. Di un amico. Di un bar. Di quel calcio di una volta. Di quel calcio senza Var, senza plusvalenze tarocche, senza steward ai tornelli, senza calendari spezzatino, senza strateghi della comunicazione tra i maroni, senza conferenze stampa stuzzicanti come il bugiardino della Tachipirina, senza retorica multiculturale al gusto di falso buonismo che azzera le culture stesse, senza pacchiane sagre del tatuaggio selvaggio, senza arabi, senza cinesi, senza australiani, senza americani. Nostalgia di mister Marchioro. Di bomber Bertarelli. Di Frustalupi. Di Oddi. Di Ceccarelli. Di Rognoni. Di quel pazzo di Boranga. Del romagnolo purosangue Manuzzi.
Ecco, proprio a Dino Manuzzi volevo arrivare. Domenica prossima, 29 maggio, cadrà il 40esimo anniversario della sua morte. E per chi ha vissuto sul campo gli anni d’oro del Cesena, ma anche per chi ha semplicemente studiato – come me – il Cavalluccio sui libri del buon Guiducci o su YouTube, risulta impossibile non fermarsi un attimo in religioso silenzio a pensare a Dino. Perché è stato proprio Dino (forse il miglior presidente di sempre della lunga storia del Cesena) il vero grande artefice di quel miracolo sportivo che nel 1976 ha fatto parlare tutta l’Italia. Anzi, tutta l’Europa.
Ciao Dino. E se puoi Lassù, se riesci, tra un buon bicchiere di Sangiovese e una partita a maraffone, salutaci magari qualche altro grande romagnolo che ha portato in Alto (anzi, in Altissimo) la Romagna. Edmeo Lugaresi, ad esempio. Marco Pantani. Tonino Guerra. Federico Fellini. Secondo e Raoul Casadei.
Ah, Dino. Scusami ancora. Poi ti lascio davvero in pace, promesso. Visto che ci sei, se ci riesci, salutami anche un altro mio mito – questa volta austriaco – che ci ha lasciato ‘soltanto’ tre anni fa. Quarantatré anni dopo aver incredibilmente scampato la morte nell’Inferno Verde del Nürburgring. Il suo nome è Niki. Niki Lauda.
Grande anno, il 1976. L’anno dei miracoli (anche) sportivi. Miracoli colorati (anche) di bianco e nero.