A tutto La Gumina: “Il mister chiede e la squadra risponde. La tranquillità non l’ho portata io”

La punta nuova di pacca arrivata dal mercato di gennaio, con un impatto subito determinante, si racconta. Dai rimpianti di Genova, ai film con Brad Pitt sino a risalire al dualismo con Gilardino.
26.02.2025 17:00 di  Gian Piero Travini   vedi letture
La Gumina
La Gumina
© foto di Ceccaroli (@shootstarkid)

Intervistiamo Nino La Gumina.

Il 28 aprile 2016 gioca in under-20: Italia v Danimarca. Lei va tre volte al dischetto: la prima volta la stoppano perché era fuorigioco, la seconda volta fa gol, la terza sbaglia. Ma è sempre lei ad essersi procurato tutti i rigori. Si gioca la finale del Viareggio contro la Juve. Contende il posto in prima squadra con Gilardino. Che sogno stava vivendo?
“Qualcosa di incredibile. Io negli Allievi giocavo pochissimo, quindi non avrei mai pensato di fare davvero la differenza. Per fortuna ho incontrato il ds Baccin e mister Bosi che hanno puntato forte su di me. Vedevano qualcosa che nessuno vedeva”.

Bosi le ha mai detto cosa vedeva?
“No, non direttamente. Ma passavamo molto tempo insieme. Insisteva tantissimo nel farmi giocare prima punta e seconda punta, aveva capito che come esterno non aveva senso che giocassi. Lui ha capito per primo che ero in grado di attaccare la profondità, che potevo fare la mezzaluna. Battagliava sempre su questo”.

Lei cosa ci hai messo?
“Venti centimetri in un anno. Il resto è stato merito del mister”.

Era un fan di Morata.
“Come si fa a non essere fan di Morata. Fa tutto. È un attaccante completo: ti crea superiorità numerica, smista, segna, è mobile, non si limita a fare la torre, svaria. Fa tutto”.

Gli è mancato pochissimo per essere il più forte di sempre.
“La continuità nella stessa squadra”.

Parliamone, perché la continuità nella stessa squadra è la sua bestia nera.
“Nel marzo 2018 a Palermo ero ancora a un solo gol in stagione. Zamparini in intervista disse che sarei esploso a 25-26 anni. Quello è stato il clic per arrivare in doppia cifra tra stagione regolare e play-off. Nel calcio devi essere costante nel lavoro, perché poi la svolta arriva. Penso ad Empoli, dove sono arrivato per una cifra importante - 9 milioni di euro, ndr -, ma non necessariamente come titolare. Ho fatto subito due gol in serie A, poi contro l’Inter ho un problema muscolare. Dopo due mesi e mezzo rientro e mi faccio il ginocchio. Se non tieni la testa sul pezzo, non riesci ad andare avanti. Serve una pazienza incredibile, perché la continuità deve resistere agli episodi che possono svoltarti non solo la stagione, ma la vita”.

È quello che direbbe a chi passa un momento come quello che ha passato lei?
“Sì. Quello e lavorare tutti i giorni con tutta la voglia che hai. Puoi non riuscirci dopo una, due, tre… dieci giornate… ma a un certo punto il lavoro e la calma pagheranno. E ne devi esser cosciente perché sono le regole del gioco”.

Quali sono le regole del gioco a Genova?
“Sono arrivato a Genova che c’erano Quagliarella e Gabbiadini: Ranieri mi faceva giochicchiare. Di nuovo, mi mancava la continuità, ma avevamo una squadra davvero molto forte. Però mi fecero un quinquennale, perché hanno visto che sono uno che lavora. Giampaolo aveva altre idee di gioco, e ho iniziato ad andare in prestito. Como è stata un’esperienza bellissima, poi a Benevento ho trovato una situazione particolare, con una pressione altissima, con ragazzi che in B prendevano 4-5 milioni di euro e che avevano l’obbligo di andare in serie A… e quando è ‘per forza’ si rischia grosso”.

Retrocessione. Ma lei doveva essere abituato ad un ambiente ‘teso’, venendo da Palermo.
“Ma io sono di Palermo. Fa una bella differenza giocare al Palermo da palermitano. In Campania è stata durissima”.

Ma ha superato anche la Strega.
“Come costante, in ogni mia nuova avventura, c’è la famiglia: anche qui a Cesena ho sempre la casa piena. Mia moglie, le mie bimbe, poi arrivano i miei, poi i genitori di Daisy… fa sempre la differenza essere tranquilli quando sei a casa. Anche quando le cose sono difficili”.

E di nuovo a Genova non va bene, e arriva a Cesena.
“Con delle motivazioni importanti. Che sono aumentate appena ho messo piede qui. Non mi è mai successa una cosa così. A Como mi sono trovato benissimo, con uno spogliatoio, ma qui, già dalla conferenza stampa, mi sono sentito a casa. Che quello che mi diceva anche Rino Foschi, che avevo come diesse a Palermo, è vero. Cesena non è un posto ‘normale’. Sono affascinato dalla gente che c’è qui, da come vivono il calcio, da come ti fanno capire che ‘sentono’ il calcio. Qui posso dare di più perché già dal mio arrivo sono stato messo nelle condizioni per dare di più”.

Lei è arrivato con la nomea dell’attaccante finito che non segna. Mi viene in mente una scena di Moneyball… 
“Il film con Brad Pitt, bellissimo”.

Esatto. La scena è quella dove Billy Beane va da Dave Justice e gli dice che non può pensare di essere diverso e lui gli risponde: «Mi paghi 7 milioni di dollari, forse vuol dire che un po’ diverso lo sono».
“E lui gli dice: «No, gli Yankees pagano metà dell'ingaggio. Questo è quello che la tua squadra pensa di te: ti pagano 3,5 milioni di dollari per giocare contro di loro»”.

Che è quello che succede a lei adesso: poi guarda la classifica, il Cesena davanti alla Sampdoria, i gol che ha segnato, e come si sente?
“Mi sento che ci sono amici veri che stanno lottando per salvarsi, e faccio il tifo per loro. E penso ad Accardi, che mi ha suggerito di venire a Cesena per giocare. Al di là di come va la tua carriera, la tua vita è segnata sempre dalle persone che incontri: e io sono stato fortunato anche questa volta, perché a Genova ci sono persone che mi stimano, ma ci sono delle persone pulite, belle e incredibili qui, a Cesena. È un grande momento”.

Però quando parla di come sta a Cesena si percepisce che ha rabbia per come è andata finora in Liguria.
“Perché è un gruppo che merita di più. È una realtà che merita di più. Perché vorrei aver fatto di più anche io. Di piazze ne ho girate e penso sempre che quello che, per errore mio o per casualità, non sono riuscito a fare prima, avrebbe potuto aiutarmi a dare di più dopo”.

Quando è sceso in campo la prima volta in bianconero col Cittadella sembrava giocasse a Cesena da una vita.
“Per questo dico che mi sono sentito a casa dal primo momento. Non sono cose che succedono sempre”.

La svolta che in particolare lei e Šarić avete portato qui è quella della tranquillità. Dell’equilibrio.
“Non l’abbiamo portata noi: era già qui, nello spogliatoio. Il gruppo è la cosa primaria e il gruppo c’era già. C’è una differenza clamorosa tra Cesena e le squadre che sono vicino al Cesena, credo, ed è l’unità di intenti. Ho giocato sette partite qui e non c’è una volta che la squadra non abbia risposto al mister. Siamo tutti a disposizione e tutti facciamo come ci viene detto in fiducia totale, sia i giovani che i più grandi. Se gioca un esperto, il giovane si allena a mille all’ora. Se gioca un giovane, l’esperto lo aspetta a fine partita per dargli il consiglio giusto. Questa cosa qui a Cesena c’era già. Non pareggi con il Pisa, con il Bari… non vinci al 94' a Cremona se non c’è un’armonia così”.

Ma non c’era continuità.
“Però la continuità non è che la porto io. La continuità arriva con la tranquillità e il lavoro. Credo che questa società abbia fatto un investimento importante su quello che Mignani ha fatto qui a Cesena da inizio stagione. Forse non va bene la prima, forse non fa bene la seconda, la terza… ma quando c’è coesione, i risultati continui arrivano: basta non farsi venire i dubbi”.

In che senso?
“Mignani ha un’identità di gioco chiara. Ma se inizi a dire «Così non va, forse devo cambiare», quando in realtà è solo una questione di un gol in più o in meno, rischi di complicarti la vita. Poi, durante la partita, devi saper leggere l’avversario, ma non devi snaturare quello che fai da inizio stagione perché è tutta una questione di fiducia, di credere nel lavoro e di faticare nonostante le avversità”.

A Cremona lei è partito seconda punta, poi è passato unico terminale: come cambia l’atteggiamento con il cambio ruolo?
“Io non ho cambiato ruolo: il mister mi ha cambiato ruolo, ma io gioco sempre come so giocare. Se il mister mi dice di giocare lì, gioco lì come so giocare. Se mi dice di giocare là, gioco là come so giocare. Il mister chiede, e il Cesena risponde. A un certo punto mi sono ritrovato di fianco a Prestia e Mangraviti a difendere. Peppe mi guarda e fa: «Ma tu che ci fai qui?». Eh, quello era il momento della Cremonese. Quello era il momento in cui toccava soffrire e mi sono messo a disposizione per stare anche con loro dietro perché c’era bisogno di fare quello. Durante la partita noi in campo dobbiamo impegnarci a capire i momenti mentre mettiamo in pratica quello che chiede il mister: ribaltare da 1-0 a 1-2 sta tutto in questo”.

«Il mister chiede e la squadra risponde» è la frase più vera che si possa dire di questo Cesena, nel bene e nel male.
“Ma anche quando le cose non vanno bene, se si fa davvero quel tipo di lavoro, arriva il momento di svolta. Questo vale per una squadra, ma anche per un calciatore singolo”.

Anche quando non segna per molto tempo?
“Fuori dal campo non è semplicissimo. Ma se ne esce. E se ne esce non avendo mai dubbi su se stessi, senza però dimenticarsi di impegnarsi sempre di più. Gli infortuni fanno parte del calcio, lo sappiamo dal momento che decidiamo di fare questo lavoro. Ma una volta che lo accetti davvero, sei spensierato anche nelle difficoltà: e ne vieni fuori”.

Tornerà in serie A, Nino?
“Sicuro”.