Tifosi "deportati" a Reggio Emilia: ecco quello che Trenitalia non dice
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“Episodi di inciviltà a bordo di un treno regionale e in stazione da parte dei tifosi del Cesena in trasferta a Reggio Emilia per il match di domenica scorsa”. Sono queste le prime parole di uno dei tanti articoli pubblicati tra ieri e oggi a seguito di un assurdo comunicato da parte di Trenitalia, che punta il dito contro la trasferta del tifo organizzato bianconero di domenica scorsa al Mapei Stadium di Reggio Emilia. Il comunicato parla addirittura di tifosi che scendono dal treno “lasciando dietro di sé rifiuti, bottiglie e lattine di birra vuote sui sedili, nei corridoi, nei vani portabagagli, pavimenti imbrattati, toilette intasate e lavandini utilizzati come WC”.
Di fronte a una tale raccapricciante descrizione, fedelmente riportata dai cosiddetti organi di informazione, sembra quasi impossibile non condannare lo sconsiderato, maleducato e irragionevole comportamento dei tifosi bianconeri. Ma è andata davvero così?
Risposta semplice: no. A fare chiarezza ci ha pensato oggi persino la stessa Curva Mare con un insolito comunicato – non è così comune che i gruppi organizzati rispondano agli articoli di stampa – che spazza via tutte le infamanti accuse.
I fatti: circa 500 tifosi si ritrovano poco dopo le 10.30 in stazione per un viaggio che, secondo le previsioni, sarebbe dovuto durare due ore e 4 minuti, ma che alla fine durerà oltre 150 minuti. Subito arriva la prima decisione, la prima limitazione alla libertà: le forze dell’ordine costringono i bianconeri a salire solo nelle ultime due carrozze del treno regionale Rock, un modello che per vagone offre non più di 120 posti a sedere, ovvero meno della metà del necessario. Pur avendo tutti pagato il regolare biglietto, comprese donne e bambini, almeno 200 tifosi devono fare le due ore e mezzo in piedi, senza possibilità di muoversi o quasi.
La seconda sorpresa: in due vagoni c’è solo un bagno in funzione, ma ovviamente raggiungibile solo da chi è in prossimità, visto che la parte posteriore del treno è letteralmente stipata ai limiti del consentito. Questo WC – secondo il racconto degli stessi tifosi – viene subito chiuso. E a quel punto inizia l’inferno: finestre che non esistono (non sono apribili), caldo, umidità, claustrofobia e impossibilità di muoversi.
Il treno si ferma a Bologna e, ovviamente, una buona parte dei tifosi sceglie di scendere sul binario per respirare un po’ di aria fresca: c’è ancora quasi un’ora di viaggio. L’atmosfera in stazione a Bologna si fa subito tesa, ma probabilmente è una conseguenza studiata a tavolino, dopo aver creato sapientemente le condizioni per nervosismo e malessere generalizzato. Tutto sommato, non succede nulla di rilevante, nessuno scontro o danno alle persone.
Una volta raggiunta Reggio Emilia, i tifosi scendono, ma in ogni vagone – ricordiamolo, sprovvisti di bidoni per accogliere i rifiuti generati da così tante persone – gli stessi esponenti del tifo organizzato percorrono i corridoi con i sacchi neri, appositamente portati da Cesena, per raccogliere la maggior parte dell’immondizia. La stessa scena si ripeterà al ritorno.
Ora, la domanda è naturale: cosa sarebbe stato lecito aspettarsi da 500 persone “deportate” (questo è il termine usato dalla stessa Curva Mare nel comunicato) sul treno per Reggio Emilia? I tifosi bianconeri sarebbero da ringraziare – lo sono – per aver mantenuto l’autocontrollo di fronte a una situazione di profondo disagio preparata a tavolino da chi avrebbe dovuto gestire l’ordine pubblico, seguendo il paradigma conflittuale imposto dall’attuale governo.
Anziché fare comunicati quantomeno ridicoli, non sarebbe forse più utile chiedersi cosa sarebbe successo se la trasferta fosse stata resa possibile in una maniera perlomeno civile?