Provocazione chiama ribellione
La gara ‘targata’ Cesena più iconica di sempre? Beh, io non ho dubbi: lo spareggione di San Benedetto del Tronto del 1987, con quell’indimenticabile urlo di Agatino Cuttone al sapore di Serie A. Di Maciste. Di Bruno Pizzul. E di Leggenda. Anche su quell’infuocato Lumezzane-Cesena andato in scena il 20 giugno 2004 – sembra ieri ma, proprio oggi, fanno vent’anni esatti… – si potrebbe però scrivere un libro intero. Anzi no, un’enciclopedia. Sì, un’enciclopedia. Perché quella famosa domenica, in Val Trompia, non si è giocata soltanto una semplice partita di calcio. Ma di più. Molto di più. Quel giorno la truppa bianconera, reduce dal deludente 1-1 arpionato al Manuzzi nel primo atto di quella finalissima play-off, per poter salire in Serie B aveva soltanto un risultato a disposizione: la vittoria. E quella vittoria, alla fine, arrivò. Dopo una sofferenza inaudita. Dopo un’epica battaglia (diciamo pure una guerra) sconsigliata ai deboli di cuore. Dopo centoventi minuti di gioco conditi anche da un’abominevole rissa che si scatenò sul rettangolo verde di gioco in seguito al momentaneo 1-1 locale siglato da Russo al 104' (le danze, precedentemente, erano state aperte da Roberto Biserni al 100'). Ecco, per l’appunto. La rissa. La famosa rissa di Lumezzane. La provocazione che – parole di Fabrizio Castori – chiama ribellione. I calci. I pugni. I colpi proibiti. I raptus di follia. Quel tutti contro tutti che dura soltanto un minuto ma che, a conti fatti, pare durare una vita intera. Quel tutti contro tutti che poi, evaporata velocemente la festa promozione (il leggendario gol di marca romagnola dell’1-2, come noto, fu siglato da Marco Ambrogioni al minuto centododici), regala al Cavalluccio diverse grane. Grane mediatiche. E grane disciplinari. Soprattutto disciplinari. Anche se, a ripensarci adesso, i tre anni di squalifica appioppati inizialmente a Castori fanno ancora gridare alla scandalo. Sì, allo scandalo. Oh, sia ben chiara una cosa: il ruspante mister bianconero, dinnanzi a quella provocatoria esultanza di Centi & Friends, quella famosa domenica ha perso – come tanti altri, compreso il mio amico Angelo Rea – la testa. E meritava di finire dietro la lavagna. Sì, meritava di finire in castigo. Non però per 36 mesi (poi ridotti, prima a 24 e poi a 19). Negli ultimi vent’anni infatti, nello Stivale che vive di pallone, abbiamo visto schifezze ben più grosse – in campo, in panchina, dietro la scrivania – accompagnate da squalifiche ben più leggere. Ben più miti. Dico bene?
PS: e comunque… anche 20 anni dopo… Biscardi, processa il tuo parrucchiere