Ancora sulla repressione del tifo organizzato
E così si è tornati a parlare di repressione, di trasferte vietate, di tifosi che restano fuori per solidarietà con gli avversari che non sono ammessi all’evento. Ai comunicati stampa delle tifoserie e dei politici. Tutto bello e, se vogliamo, tutto molto scontato. L’evento scatenante è stato il diniego prefettizio alla trasferta del Rimini basket al Palafiera di Forlì per il derby di ritorno di campionato. Nota a margine: questo clamore si solleva solo quando di mezzo c’è il basket Rimini: se si tratta di Unieuro, Cesena Fc o persino Rimini calcio non ne parla quasi nessuno, chissà perché. In poche parole, il prefetto di Forlì ha citato tra le motivazione del provvedimento gli “episodi di violenza, talora di particolare gravità” tra le due tifoserie “fin dagli anni ‘90”, la “pericolosità del gruppo ultras riminese” e “un gravissimo ed inquietante episodio avvenuto il 2 novembre 2024”, ovvero il famoso raid notturno in un bar di Bellaria.
Ora, anche dalle colonne di questa testata abbiamo in passato parlato più volte della repressione che sta colpendo il mondo del tifo organizzato, a livelli persino più radicali del periodo post Raciti. Sono ormai innumerevoli le trasferte vietate ai tifosi del Cesena – Bergamo e Carrara le ultime in ordine temporale – alle quali vanno aggiunti gli episodi repressivi degli scorsi campionati (curva Mare chiusa, Orogel Stadium a porte chiuse).
Perché qui sta il capolavoro: si tratta di un incredibile segnale di debolezza del potere (legislativo, esecutivo e giudiziario) che, probabilmente, pensa di dimostrare l’esatto opposto. Quando si vieta una trasferta a seguito di qualche fatto di cronaca, come può essere quello del 2 novembre a Bellaria, si conclama al paese intero quanto sia irreale pensare di poter identificare i reali protagonisti per limitare solo a loro il provvedimento coercitivo. Al tempo stesso si ammette l’impossibilità di garantire l’ordine pubblico evitando il ripetersi di simili episodi. Quindi si vieta tutto.
A questo punto torniamo ai tempi del covid con gli impianti a porte chiuse, tanto quello che conta è la diretta tv e il tifo è solo un fastidioso contorno, un costo per la comunità. E che comporta compiti troppo gravosi da essere svolti, sicuramente anche a causa di risorse insufficienti. Qualche risposta allora dovrebbe essere fornita anche da parte degli esponenti della maggioranza di Governo che, al contrario, a livello locale sembrano cadere dal pero: chi sta impartendo, a partire dal Viminale, l’ordine di aumentare la repressione?
La recente proposta di istituire una sorta di scudo penale per le forze dell’ordine impegnate in servizi di ordine pubblico è semplicemente l’ennesima conferma di una linea già tracciata e che, negli ultimi anni, ha colpito sempre di più il tifo organizzato. Un po’ meno quello delle grandi curve dove, anzi, qualche ministro è anche andato a stringere mani: questo però sarebbe un altro discorso o, forse, un altro business.