Perché amiamo Tommaso Berti
Il meteo in questi giorni ad Ibiza è fantastico: sole pieno ma non troppo caldo. Le temperature all’ombra non salgono mai sopra i 30 gradi ma di notte non scendono mai sotto i 20, rendendo piacevole il rientro dalla discoteca, anche con qualche drink di troppo da dover smaltire. Non a caso è uno dei posti migliori per le vacanze e per i social dei calciatori professionisti: spiagge, cubiste, tatuaggi e qualche frase di Coelho.
A Ibiza ieri non c’era però il nostro Tommaso Berti. Non era nemmeno a Formentera o a Mykonos o al Papeete. No, lui era sul Barbotto – un monte che per noi romagnoli è sacro quasi come il Fuji per i giapponesi – ad attendere il transito del Tour de France, in una calata francese pari per importanza solo a quella di Napoleone nel 1797. Berti non aveva tatuaggi da mettere in mostra – a differenza dei cosi disegnati della nostra nazionale che hanno fatto vergognare un Paese intero – ma indossava una maglietta bianca a pois rossi, simbolo del primato nella classifica dei gran premi della montagna nella corsa gialla.
Berti era su quel monte sacro – difficilmente un romagnolo può dirsi tale se non lo ha mai scalato o non vi si è mai recato per assistere al transito della Nove Colli o del Giro – proprio dove si radunavano i tifosi di Marco Pantani. Già, Berti da sempre è un grandissimo tifoso del pirata.
Berti durante le lunghe ferie non ha preso peso né si è dato ad una alimentazione incontrollata e poco sana: ha scelto di divertirsi coi suoi amici di sempre con la grande passione del ciclismo. Hanno scalato Pordoi e Marmolada, sono andati sulle Dolomiti per assistere anche al transito del Giro, ha messo centinaia e centinaia di chilometri nelle gambe. E quello sì, quello lo ha messo sui social. Quel sudore, quella fatica, quella passione che lo rende prediletto figlio di Romagna.
In un periodo in cui i suoi compagni si dividono tra quelli che stanno battendo cassa da Artico per ricevere una buonuscita e seguire il maestro Toscano a Catania e quelli che stanno tormentando il direttore sportivo bianconero per giurare che loro no, non erano parte del clan Toscano e che quindi possono restare in Romagna: Tommaso Berti rappresenta un’eccezione a tutto questo.
In questi giorni, in attesa dell’arrivo di un direttore generale, l’anarchia in casa bianconera è grande. La partenza di Toscano ha fatto deflagrare un gruppo che il tecnico calabrese aveva plasmato a sua immagine e somiglianza e il solo Artico sta facendo i salti mortali, in attesa di ricevere qualche supporto dagli Usa, per ricostruire tutto da capo. Si capisce dunque molto bene perché Tommaso Berti sia un’eccezione non solo in una squadra di mancati fotomodelli tatuati dalla testa ai piedi come quella bianconera bensì in tutto il mondo del calcio in generale.
Polemiche di Berti quando è stato allontanato, senza troppi complimenti, da Cesena a Firenze? Zero. Polemiche di Berti quando è tornato rivelandosi decisivo? Zero. Polemiche di Berti quando ha segnato col Rimini sotto la Curva Mare? Zero.
Tommaso Berti è una mosca bianca in un ambiente mefitico, falso e vanesio. Tommaso Berti rappresenta Cesena e la Romagna. Tommaso Berti è il nostro orgoglio perché è il prediletto figlio della nostra terra. E nel nostro mondo ideale, romagnolo, la fascia da capitano il prossimo anno sarebbe un affare tra lui e Ciofi.