Processo a Fabio Artico

09.01.2025 22:10 di  Stefano Severi   vedi letture
Fabio Artico
Fabio Artico

È tutta colpa del direttore sportivo Fabio Artico. Ogni insuccesso del Cesena attuale è solo ed esclusivamente colpa sua. Merita la cacciata, il licenziamento e forse, per far piacere a qualche politico liberale locale che sostiene l’entità sionista per convincersi di contare qualcosa più di niente, usiamo il metodo Idf e bombardiamogli la casa, tutto il quartiere per sicurezza e già che ci siamo anche le scuole, gli asili, gli ospedali e le infrastrutture energetiche della sua città. Solo per legittima difesa.

Ok, visto che in questo modo edulcorato abbiamo possibilmente placato la sete di vendetta che pervade il popolo bianconero possiamo permetterci un’analisi più serena. E certamente più seria. 

È davvero tutta colpa di Artico? Insomma, decide tutto lui? È ancora one man show come un anno fa? Il ds bianconero ha indubbiamente grande potere all’interno dell’area tecnica bianconera ma da questa estate è affiancato da un direttore generale, Corrado Di Taranto. Cosa significa? Che tutte le questioni sui numeri e sui soldi sono questioni di lana caprina. Perché il budget messo a disposizione dagli americani prima di essere messo a disposizione di Artico è vagliato ed approvato rigorosamente dal Dg. Insomma, non c’è più il ds che fa il mercato con qualche scatola di wafer e un bilancio di cartone controfirmato dalla bandiera che non sa nulla di ragioneria e dall’associazione di tifosi nella stanza dei tifosi.

Questo significa che non sono stati fatti errori? Certo che no, a livello tecnico alcuni investimenti di Artico sono stati nettamente fuori bersaglio. Van Hooijdonk è il più clamoroso flop, è indiscutibile: lo dicono i numeri, quelli del campo, non quelli finanziari. Però si tratta comunque di un investimento andato male: il Cesena ha corso un rischio e in questo caso ha perso. A gennaio 2025 è stato chiamato il famoso stop loss: si molla la presa, si accetta la perdita e si passa ad altro: questo è il grande cambio di paradigma che la realtà locale cesenate non sembra aver ancora compreso.

Dal Cesena dei soci romagnoli al Cesena degli americani il cambio di mentalità implica una rivoluzione copernicana: si è passati da una gestione che metteva l’aspetto sportivo in primo piano – e il conto economico – ad una puramente finanziaria, degna di Wall Street. È una cosa buona? È un cambiamento positivo? Probabilmente no, ma gli americani ragionano così, lo si vede anche in numerose altre società in serie A controllate a stelle e strisce. E il Cesena non fa certo eccezione.

Gli americani predispongono un budget, praticamente il portafoglio affidato a Di Taranto. Il dg si affida ad un consulente sportivo, anzi finanziario, ovvero il ds Artico, per la diversificazione del portafoglio. Artico anziché investire in azioni, criptovalute e obbligazioni, investe in giocatori, con gli stessi gradi di rischio. Qualcuno avrebbe preferito minimizzare il rischio per l’esordio in serie B del Cesena: confermare gran parte della rosa della scorsa stagione sarebbe stato un po’ come comprare obbligazioni: resa modesta ma rischio quasi azzerato. Agli americani però questo non stava bene: loro vogliono di più. E Artico ha preso volti sconosciuti, ha investito in beni (asset, come dicono loro) ad alto rischio, critpovalute: Van Hooijdonk, Ceesay, Tavsan. E poi in azioni sottovalutate: Curto, Bastoni, Antonucci. E ovviamente con Klinsmann come garanzia economica per sostenere questi investimenti.

Dopo una prima parte di stagione discreta, gli investimenti di Artico sono andati tutti oggettivamente in rosso, in forte perdita. Le scommesse sono andate male, è innegabile. Però bisogna capire che è questo che chiedeva la proprietà. Artico avrebbe potuto puntare su altri cavalli? Certamente sì ma per fare il grande salto al primo colpo, o perlomeno per raggiungere le zone alte della classifica, sarebbe stato comunque costretto ad un grande rischio.

Qual è quindi il problema? Che se Artico dovesse perdere anche le scommesse future, anche il suo contratto fino al 2027 varrebbe davvero poco, perché nella mentalità statunitense se un investimento va male non si insiste: ci si rimbocca le mani e si riparte. Da un’altra parte. Con un’altra impresa. Piaccia o meno, gli yankee giocano con altre regole.