La chiameremo “zona Foschi”
[...] quei lunghissimi attimi di equilibrio sopra la follia in quella stanzetta d’albergo.
Ebbene Foschi, l’anziano con la mascella in vibrazione da esaurimento, che, al terzo minuto dei quattro concessi dall’arbitro, mentre il suo corpo aumenta improvvisamente la già generosa sudorazione che gli ha già fatto cambiare la terza camicia da sotto la giacca necessaria alle grandi occasioni, continuando a sbraitare, perché già da 14' non riesce a registrare quel cazzo di accordo su quello stracazzo di computer, senza neanche alzarsi dalla sedia, ma sfruttando la sua capacità di anziano di perdere facilmente l'equilibrio e orientandolo verso la porta della camera, inizia a dare forza alle proprie gambe con l’energia necessaria a non cadere e a mantenere questa inclinazione del corpo, per alcuni metri, fino ad impattare contro la porta mentre contemporaneamente agisce sulla maniglia per aprirla rimanendoci poi agganciato con la mano per non fracassare le già fragili ossa sul pavimento.
“EHI, TU!!!!! ABBIAMO BISOGNO DI UN COMPUTER QUI!!!!! VALLO A PRENDERE, SUBITOOOOOOOOOOOOO!!!!!”.
Ecco, in questo gesto di combinazione corpo mente abbiamo il genio e la summa del talento massimo.
Una combinazione di pensiero e azione istantanea.
L’essenza stessa dello sport.
Quelle stesse combinazioni astrali che bramiamo vedere sul manto erboso del nostro stadio.
Quella voglia senza spazio e senza tempo che capita nelle teste dei giocatori mentre fanno quello che pensano nello stesso istante.
Quel tutt’uno con i propri propositi che illumina di una immensità sconfinata la propria vita.
E anche quell’uomo deve entrare nei nostri ricordi come uno dei nostri migliori giocatori.
Un inchino a Foschi.
E, quando sarà il momento, portiamogli un fiore.
Gianluca Ambrogetti