Angeli maledetti, Muratti e Parmigiano
Diversi tifosi del Cesena che sono stati giovani (anche) negli anni settanta continuano a ripetere tutt’oggi che Giorgio Mariani, più che alla domenica sui campi di gioco, andasse forte nei turni infrasettimanali giocati lontano dal catino della Fiorita. Magari in qualche night-club della Riviera. Solo leggende metropolitane divenute poi verità assolute per colpa di virali e morbosi tam tam cittadini? Probabile. Di sicuro, questo Angelo Maledetto classe 1946, in riva al Savio lo ricordano ancora tutti con grande affetto. E non soltanto perché questo George Best all’italiana, questo figlio di un calcio tutto genio e sregolatezza che non esiste più, ha fatto comunque parte di uno dei migliori Cesena di sempre. Di quel Cesena che, tanto per intenderci, nell’anno del Signore millenovecentosettantasei riuscì incredibilmente (prima) ad arrivare sesto in Serie A e (poi) a giocare quella sfortunata ma comunque iconica doppia sfida di Coppa Uefa contro il Magdeburgo. Cesena e Mariani, dunque: un rapporto verace, mai banale, ricco di alti e bassi. Tanti gli aneddoti che si potrebbero raccontare su questo personaggio strepitoso. Tanti davvero. Il più bello. Correva l’estate del 1978. L’ala bianconera, reduce da un prestito in Serie B a Varese, voleva lasciare Cesena. Voleva tornarsene a casa. Nella sua amata Sassuolo. Fra i dilettanti. Una calda mattina di fine luglio l’ex attaccante (anche) di Inter e Fiorentina andò così dall’inarrivabile Dino Manuzzi per comunicargli la sua decisione. ‘Va bene Giorgio, ti lascio andare – gli rispose subito il Presidentissimo – Ma tu hai già sentito quanto è disposto ad offrire il Sassuolo per il tuo cartellino?’. La risposta del Gringo – questo l’azzeccatissimo soprannome che gli avevano affibbiato i tifosi del Cavalluccio – fu secca, perentoria, spiazzante: ‘Certo, due forme di Parmigiano Reggiano’. È che Mariani non scherzava affatto. No, lui diceva sul serio. All’epoca infatti, il club emiliano, non se la spassava proprio benissimo. E così, visto che uno degli storici dirigenti della società emiliana era il titolare di un piccolo ma apprezzato caseificio, il Sassuolo fece la sua inusuale offerta. La cosa buffa è che il numero uno del Cesena, dopo un primo (e più che giustificato) momento di sbandamento, quello scambio di – ehm ehm – merce, lo mise in pratica davvero. D’altronde non si poteva dire di no a quella pazza ed esuberante ala dai capelli lunghi che fumava quattro pacchetti di Muratti al giorno ma che, quando era in stato di grazia, quando ne aveva voglia, sapeva anche vincerti da solo una partita. A suon di dribbling e gol. Quanto ci manca, il grande Mariani. L’immortale Mariani. E quanto ci manca pure quel ruspante calcio di una volta che – a differenza dell’incellofanatissimo calcio moderno di oggi – sapeva regalarci storie magnifiche. Storie fantastiche. Storie da ricordare. Storie da raccontare. Storie come queste.