Ma se dite che sono ‘solo’ un nostalgico allora non avete capito un cazzo
Non volevo scriverlo, questo pezzo. Perché alla fine, nonostante le apparenze, io resto un inguaribile romantico. Uno che si commuove per poco. Per una vecchia canzone di Mia Martini, ad esempio. Per un vecchio film di Federico Fellini. Per il culo della Diletta Leotta. Per un atterraggio di un rover sul Pianeta Rosso. Per un nido di rondine del Ristorante Neri. Ma oggi, signore e signori, è passato un anno. Un anno esatto. E non ho saputo resistere
CORONAVIRUS – Me lo ricordo benissimo, quel 23 febbraio 2020. Faceva freddo, quella domenica pomeriggio che profumava (anche) di cappelletti in brodo e di bollito. Il Coronavirus aveva cominciato a spaventare (anche) lo Stivale, ma gli stadi nostrani non erano stati ancora chiusi dal Palazzo. C’era tanta gente, quel giorno al Manuzzi. Ma quella domenica, nell’ex catino della Fiorita, c’era soprattutto il Vicenza. Vicenza che, senza strafare, riuscì ad imporsi per 3-1. Nessuno, quel dannato pomeriggio, sapeva che quella gara sarebbe stata per i bianconeri l’ultima partita della stagione 2019-20. Nessuno sospettava che, da lì a poco, il Bel Paese sarebbe stato chiuso a chiave per colpa del Virus. Nessuno immaginava che quel ko avrebbe salutato l’ultima apparizione ufficiale su un terreno di gioco di Giuseppe De Feudis. Del giocatore più vincente di sempre della lunga storia bianconera. DI SEMPRE. Cinque promozioni a Cesena. CINQUE. Come lui nessuno. NESSUNO.
TRADIMENTI – Avrebbe meritato un finale ben diverso, quella lunga storia d’amore (sul campo) tra il Conte di Bollate e il Cesena. Una storia d’amore cominciata all’alba del terzo millennio e fatta di discese ardite e di risalite. Di alti e bassi. Di bassi, sì. Non certo per colpa di De Feudis, però. Perché questo soldatino aziendalista, il suo amato Cesena, l’ha sempre amato. Coccolato. Onorato. Rispettato. Come un figlio. Anzi, più di un figlio. Sempre e comunque. Non è avvenuto il contrario, invece. Perché il Cesena, in tutti questi anni, più volte ha fatto degli sgarri colossali al Conte. Nel 2010, ad esempio. Quando negò a questo operaio della pedata quella serie A arrivata dopo quel doppio salto ‘bisolizzato’. Nel 2015. Quando scaricò il suo centrocampista come un pacco postale. O giusto la scorsa estate. Quando obbligò (sì: obbligò) il suo capitano a smettere. ‘Se vuoi restare qui, devi appendere gli scarpini al chiodo – gli hanno detto – altrimenti auf wiedersehen’. Questa è la verità. Chi ha detto il contrario (Patrignani, Zebi, lo stesso – ahi ahi – De Feudis) ha mentito. Sì, HA MENTITO. Sapendo di mentire. Stop.
MALEDETTI – Fa ancora parte della grande famiglia bianconera, De Feudis. Ma non è (e non può essere) la stessa cosa. Lo si capisce da tante cose. Anche dagli occhi (tristi, tristissimi) di Beppe, da quegli occhi che hanno perso la luce e la vitalità dei giorni migliori. Non lo dice nessuno – chissà poi perché – ed allora lo dico io: avrebbe meritato un altro anno di contratto, il Conte. Per dieci, cento, mille motivi. Tecnici. Economici. Anagrafici. Comportamentali. No, non dite che Bertozzi è troppo nostalgico. Che allora vuol dire che, anche questa volta, non avete capito proprio un cazzo. Qui, la nostalgia, c’entra ben poco. O c’entra pochissimo. Ecco, lo sapevo: mi sono commosso. Maledetto Conte, che mi hai stregato l’anima con la tua umiltà. Maledetto Cesena, che un misero contrattino da 12 mesi (a prezzi da operaio bulgaro, ovviamente) potevi pure farlo al tuo Capitano. Maledetto Viali, che almeno 10-11 partite al Conte potevi farle ancora giocare. Maledetto me, che questo pezzo non lo dovevo scrivere.